R.barone.... e la Fotografia..

In una notte tempestosa del lontano Dicembre 1963. . . . .ma questa é un altra storia . . . . .

Queste pagine, non sono con l’intenzione di far sapere al pubblico i fatti miei. Non sono celebre; e se lo fossi, spero che troverei di meglio da fare che dare questa soddisfazione alla mia vanità e alla curiosità altrui. Scrivo, perché trovo un grande gusto a descrivere e a raccontare, e perché penso a volte cose, che mi piace poi di vedere proiettate di fronte a me. Sarei disonesto se dicessi che scrivo «per me». Ciascuno che pensa, prova un desiderio irresistibile di comunicare agli altri ciò che ha pensato. Io scrivo per questo desiderio. Ho bisogno d’immaginare che tutto il mondo mi sente. Un altro non si farebbe la domanda: perché scrivo? Io me la pongo, perché lo scrivere non è la mia professione. I pensieri che ho, questo è un di più: non rientra nella costruzione, nella missione. È un’azione voluttuaria. È un lasciarsi vivere. E chissà che proprio questo non mi riesca meglio che altro? E che io venga apprezzato per queste pagine buttate giù per lo piú per divertimento? È accaduto a molti. A me, però, spiacerebbe moltissimo. ma il campo fotografico lo prendo molto sul serio. Ciascuno desidera il successo nel centro della sua attività; e disprezza una gloria che non si attagli alle sue abitudini. Napoleone si sarebbe probabilmente infischiato di avere le soddisfazioni di un Kant o di un Goethe, e viceversa. Non venite a dire a me, che so di estetica, che questa è appunto l’arte, questo trasformarsi dell’esperienza in contemplazione, ecc. ecc. Lo so meglio di voi. Volevo solo dire che questa trasformazione, questa elaborazione, mi sarebbe insopportabile. È proprio essa che presuppone l’impegno della vita, l’assoluta serietà, il senso di costruire. Ma appunto questo toglierebbe a me tutta la delizia del superfluo. Mi accorgo, ora, che non è proprio possibile fare arte da dilettanti. Perciò quello che scrivo non sarà sicuramente mai arte: tutt’al più sarà «umanità». Mi è venuta quest’idea leggendo Voltaire e Diderot. Quelli sì, scrivevano voluttuariamente, non costruivano. Scrivevano allo sbaraglio. A leggerli, non si ha un’emozione artistica: si ha l’ineffabile godimento di partecipare direttamente ad una conversazione . Sono gli uomini che hanno saputo fotografare in modo più diretto e immediato nelle loro opere la propria personalità umana.

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